mercoledì 5 febbraio 2014

Odore a. Torino-Caracas senza ritorno

L’amico sconosciuto

Scrivere una prefazione a questo libro di Antonio Nazzaro non è semplice. Non solo perché Antonio Nazzaro per quel po’ che lo conosco non mi pare tipo da prefazioni, preamboli, premesse. E’ uno che ama arrivare al dunque o provare ad afferrare il nocciolo in fretta. Non per smania o per nevrosi (si vedrà qui che il tempo per lui è un movimento vario, pieno anche di lentezze, di lunghi piani-sequenza).
Insomma non è facile soprattutto perché questa scrittura non sopporta nulla se non la propria necessità, la forza che appare come debolezza strutturale e stilistica e invece trascina il lettore in una specie di mantra, di ripetizione e approfondimento.
Il cui fuoco è la scoperta di un’altra specie di memoria. “Ricordare il presente”, dice a un certo punto chi parla nel testo (una voce, un protagonista, l’autore, chi?).
Come se il presente nel suo stesso accadere fosse al tempo stesso terra da scavare, cielo da viaggiare, e paesi e città. “E non una vita soltanto”, dice in un suo verso da me rubato come titolo di un libro di viaggi nella letteratura. E qui, dove Torino, Caracas, il suo monte Avila, il volto nello schermo del PC, e altre cose sembrano sovrapporsi come veli su veli, la memoria e il presente convivono. Perché un uomo è questa convivenza, “In me abitano moltitudini”, diceva più o meno il vecchio Walt Whitman, immortalato da Federico Garcia Lorca come “vecchio pederasta con la barba piena di farfalle”. E Arthur Rimbaud fu fiammante nel dire, ben prima di ogni presunta scoperta freudiana, “J’est un autre”, io è un altro.
Le citazioni dei poeti non servono solo ad ancorare la scrittura di Antonio Nazzaro in una questione che da secoli agita gli scriventi perché agita i viventi, ma anche per segnalare la natura di poesia accennata di questo andare avanti per prosa e per ripetizioni. Come una poesia intimidita.
Topo Gigio, la Carrà, il padre Nano e Mago, Porta Palazzo, la metro di Caracas, tutto è possibile materia di visione per Antonio Nazzaro. Con tracce di surrealismo senza enfasi (quella tazzina che “ha occhi di poliziotto”) e con tracce di passione civile non sopita (l’Italia non è nostalgia ma “memoria tradita”, e memoria vuol dire appunto presente e passato insieme) la scrittura di Antonio Nazzaro è tesa a tracciare una strana mappa. Mappa di sorrisi, di fantasmi, di presenze, ma soprattutto mappa di occhi: “per trovarvi la vita devi andarvi quasi al fondo”. Che sono i suoi pozzi di viandante. Occhi pieni di crack o occhi di persona amante, occhi di niente, occhi che vedono il cielo toccato dall’Avila o il niente.
[…] Chi come me conosce Caracas e Torino sa che i pochi cinematografici tratti che ne dà Antonio ritraggono l’anima dei due posti. Ma lo scopo non è descrivere l’ennesima storia di un italiano in viaggio verso un altrove che è sempre fonte di meraviglia (poiché l’italiano ha poche virtù, ma una certo è la meraviglia – anche se si trattiene dall’esprimerla. Da tale meraviglia nasce l’arte come la voglia di intraprendere qualcosa. Senza meraviglia non nasce l’impegno. In questo libro pieno di meraviglia dura, di memoria meravigliata e offerta, c’è il motivo del tanto impegno di Antonio Nazzaro. E di quelli che come lui non cessano di cercare l’amico sconosciuto.
Davide Rondoni


Odore a. Torino-Caracas senza ritorno di Antonio Nazzaro è disponibile sul sito di Edizioni Arcoiris al link 




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