giovedì 23 maggio 2013

Fucilati all'alba. Rodolfo Walsh e il crimine di Suárez


Rodolfo Walsh è uno scrittore scomodo da maneggiare. La sua vita di militante politico e la sua opera di scrittore e giornalista sono indissolubilmente intrecciate. Non se ne può ignorare una senza senza perdersi qualche pezzo dell'altra. Entrambe pervase da un'insaziabile sete di verità, la vita dell'uomo e l'opera dello scrittore si sovrappongono in alcuni momenti cruciali che vanno osservati sia dal punto di vista letterario che da quello storico, sociale e politico. Un duplice sguardo di cui si avverte l'impellente necessità quando ci si avvicina ai suoi libri. Un'analisi critica dei testi di Walsh risulta insoddisfacente se non supportata da una descrizione del contesto storico, sociale e personale all'interno del quale sono stati scritti. Considerare soltanto il significato politico delle sue azioni e delle sue inchieste giornalistiche significa precludersi la possibilità di comprenderne la potenza comunicativa.
Roberto Ferro, riconosciuto a livello mondiale come uno dei massimi esperti dello scrittore argentino, segue in Fucilati all'alba esattamente questo sentiero e si propone come guida per chi voglia addentrarsi nel territorio di Operazione Massacro, libro di cui è impossibile non apprezzare sia la carica di innovazione letteraria che la portata dirompente del contenuto politico.
Lettore, scrittore, giornalista e militante, Rodolfo Walsh visse gli anni più turbolenti del Novecento latinoamericano. Rivoluzioni, colpi di stato e dittature militari, movimenti guerriglieri, stragi. 
In quegli anni turbolenti faceva il mestiere più pericoloso: il giornalista. Credette sempre nel potere della parola e nella potenza della cultura in quanto strumenti utili a creare una classe operaia coesa e cosciente che fosse in grado di reclamare efficacemente i propri diritti. Mise le sue competenze al servizio di molte cause giuste ma soprattutto non perse mai di vista "los de abajo", le persone più umili a cui i suoi articoli o racconti si rivolgevano.
Nel 1956, l'appena ventinovenne Rodolfo Walsh aveva già all'attivo numerose pubblicazioni su riviste letterarie, traduzioni dall'inglese e un libro di racconti. Si teneva alla larga dalla politica e giudicava il governo di Juan Domingo Perón con la stessa attitudine sprezzante di altri intellettuali argentini come Jorge Luis Borges o Julio Cortázar. La notte del 9 giugno di quell'anno un gruppo di civili e militari peronisti capeggiati dal Generale Juan José Valle mise in atto una sollevazione contro la dittatura di Pedro Eugenio Aramburu che un anno prima aveva destituito e mandato in esilio Perón. La rivoluzione fallì e ventisette persone furono fucilate per ordine del governo nelle notti fra il 9 e il 12 giugno. Esecuzioni clandestine e illegali di cui i principali mezzi di informazione non parleranno mai,  se non per definirle in quanto logiche conseguenze dell'applicazione della legge marziale promulgata in seguito al tentativo di golpe. Sei mesi dopo, qualcuno dice a Walsh che c'è un fucilato ancora vivo, un civile: arrestato senza motivo insieme ad altre persone perché sospettato di essere coinvolto nella sollevazione, e scampato a una fucilazione sommaria. Lo scrittore si interessa subito alla vicenda iniziando un'investigazione rigorosa i cui risultati vanno a formare una campagna di articoli giornalistici atti a dimostrare l'illegalità di questa esecuzione e la responsabilità diretta di Desiderio Fernández Suárez, l'allora capo della polizia della provincia di Buenos Aires. A partire dal 1976 i militari di Videla cercarono in tutti i modi di far sparire dagli archivi queste pubblicazioni che solo recentemente sono state recuperate dal professor Roberto Ferro in una ricerca dall'inestimabile valore storico e letterario, e di cui si racconta nel primo capitolo di questo volume. Articoli che nel 1957 sarebbero poi confluiti in Operazione Massacro, un libro in cui Walsh applica le norme investigative del crimine individuale a quella che oggi non esiteremmo a definire una strage di Stato. Walsh parla con testimoni, protagonisti e parenti di giustiziati, segue varie piste, confronta i dati che mano a mano raccoglie e alla fine scrive una storia sensazionale, in cui le due anime di scrittore e militante convergono nella professione di giornalista e conferiscono a questo "violento mestiere" un grande spessore. Tuttavia, l'impunità di cui godono i responsabili del crimine che ha scoperto fa perdere a Walsh qualsiasi tipo di fiducia nel sistema giudiziario. 
Durante la sua vita Walsh ha creduto fermamente nel potere della parola. Perché convinto che nella parola potessero trovare lo stesso spazio sia il militante che lo scrittore. Una frase del libro Operazione Massacro è in questo senso emblematica: «Qui non si tratta di fucilazione. È un assassinio.» Quasi alla fine del testo, dopo aver illustrato le complicate indagini e dopo aver illuminato tutte le zone oscure di una storia sporca, resta soltanto un ultimo tassello da mettere a posto: definire il fatto con la giusta parola, quella che folgora e che colpisce al cuore, che non lascia spazio a «giochi di prestigio». La ricerca linguistica, forgiata da anni di esperienza come traduttore e correttore di bozze, funge da strumento, mentre l'uso politico della parola la rende molto simile a un'arma, una cosa viva, che ha una qualche influenza sulla realtà.
Certo, l'arte può trovare in se stessa la sua giustificazione e intraprendere percorsi di ricerca essenziali per l'uomo anche senza occuparsi esplicitamente di politica, ma chissà che alla luce dell'esempio fornito da Rodolfo Walsh, non venga allo scoperto un'indifendibile capacità di comprendere i fenomeni sociali dell'epoca da parte di alcuni intellettuali argentini che caddero nell'errore di confondere le vittime con i carnefici. 

Tratto da "Rodolfo Walsh: la parola che agisce" di Alessio Mirarchi

Il libro può essere acquistato sul sito di Edizioni Arcoiris


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