mercoledì 12 settembre 2012

"Il labirinto dell'identità" visto da Maria Cecilia Graña

"Il labirinto dell'identità in El cantor de tango di Tomás Eloy Martínez" introdotto dalla Prof.ssa dell'Università di Verona Maria Cecilia Graña.

"Oggi, città ibrida e frammentata, Buenos Aires dentro la letteratura è un tema la cui forma si muove tra due ambiti, il reale e referenziale e il mitico o fittizio, e dove il passato, in particolare verso la metà del Novecento, inizia a proiettarsi come un’ombra nel presente. Tutto questo entra in gioco nell’immagine cittadina di El cantor de tango di Tomás Eloy Martínez, perché nella Buenos Aires del 2001 assediata dalla miseria, la città vista da occhi stranieri – diversi ma somiglianti a quelli che arrivavano da diversi paesi europei alla fine dell’Ottocento – diventa luogo di una ricerca costante, infinita, attraversata da dimensioni finzionali e artistiche che gradualmente la dissolvono – e disgregano l’identità di chi la percorre – in un ambito irreale.
Andrea Masotti, l’autore di questo saggio, affronta un tema, quello della città, che è stato molto trattato dalla critica letteraria della seconda metà del Novecento, ma ha scelto di farlo in un romanzo postmoderno che induce il lettore a “entrare” nella Buenos Aires del 2001 passando da altri testi o anche da film, come succede a Bruno Cadogan, uno statunitense che arriva a Buenos Aires credendo di conoscerla attraverso le sue letture. Il risultato sarà per lui devastante perché la metropoli diventa ai suoi occhi una sorta di palinsesto il cui senso appare bloccato dall’accumulo di significati fittizi (artistici) e reali che, come accade a Parque Chas – l’unico quartiere a non essere adeguato alla norma della griglia –, spingono il narratore in una sorta di pazzia. L’unica ancora di salvezza che trova sarà riuscire a dipanare la matassa che ha costituito il percorso delle performance, apparentemente casuali e a sorpresa, del cantor.
Buenos Aires diviene allora labirinto, uno strano e inaspettato labirinto che Andrea Masotti riesce a spiegare con validi strumenti metodologici e una buona dose di creatività. Masotti, infatti, crede che il protagonista biforcandosi in due traiettorie – una alla ricerca di un aleph suppostamente reale, e un’altra che insegue le orme di quella del cantor che lo porta da un itinerario turistico (la peregrinación de las milongas) a uno politico – compia un “percorso della conoscenza”. Non è strano che Cadogan si trovi in tante circostanze “fuori luogo” a Buenos Aires essendo uno straniero. E non è strano che si trovi perso nella città (anche se alcune narrazioni interne alla vicenda principale del libro rendono ancora più paradigmatica questa esperienza, com’è il caso della turista danese Grete Amundsen), perché le aspettative del suo corpo non trovano delle affinità o delle familiarità con le presenze fisiche circostanti dell’urbe porteña; per quanto, com’è stato detto, «gran parte dei funzionamenti delle nostre società ‘avanzate’ si basano su una diffusa indifferenza al ‘dove’».
Masotti, gradualmente e a partire dell’epigrafe di Walter Benjamin in apertura del romanzo, va sviluppando la sua analisi inseguendo una serie di relazioni. La prima evidenzia le transizioni tra realtà e finzione decisamente postmoderne per arrivare ad analizzare, in seguito, la fusione tra il mondo reale e fittizio nella frustrata ricerca dell’aleph, il che gli permette di concludere che il libro costruisce «un’analogia potente tra Buenos Aires e la letteratura».
L’importanza del passato e della memoria è un altro aspetto che Masotti analizza a proposito del concetto d’identità sia del protagonista, Cadogan, che del suo antagonista in absentiam, Julio Martel il quale canta inoltre per recuperare storie, posti e persone passate. Una relazione che l’autore del romanzo, Tomás Eloy Martínez, riallaccia a tutti gli argentini, incapaci «di sentire il presente». Eppure ciò che risalta con maggior vigore del saggio di Masotti è il legame evidente della città con il suo passato, perché l’intenzione del romanzo è risvegliarlo e interpellarlo, nonostante la Storia abbia un’incontrovertibile declinazione verso il fittizio. Per terminare, Masotti collega il nome alla città e, supportato dalle letture di Benjamin, trascina il nesso dalla concretezza verso la mutevolezza, perché in quella sorta di maelström che è Parque Chas, tutti i nomi assumono la funzione d’indizi ipertestuali.
Cercando di imitare l’acqua che riesce a orientarsi in tutti i meandri, l’autore di questo saggio va analizzando le diverse forme di labirinto che appaiono nel romanzo da quelli letterari che richiamano nuovamente la figura di Borges, a quelli reali nella città come Parque Chas; o quelli cui la forma a reticolo della metropoli, sempre uguale, dà origine; o altri che nascono dalla contrapposizione di luoghi del passato con gli stessi nel presente per approdare alla trasposizione dell’idea di labirinto su un altro piano, perché uscire dal dedalo diviene “una risposta che ci parla di noi stessi e del mondo». In questo senso, la voce di Martel è un aiuto per il narratore e per il lettore, serve da guida per affrontare il mondo dove ci sentiamo disorientati: recuperare con la memoria ciò che ci ostiniamo a scordare perché insopportabile o sgradevole o ostico alla conoscenza è una forma di salvezza. Solo così potremo abitare la terra essendo pienamente noi stessi (e questo si collega con il narratore che vede nel comportamento inaspettato dei porteños nel dicembre del 2001 qualcosa di labirintico perché non riesce a percepire la Storia, una sensazione di disorientamento che poi trasferisce all’“essenza” degli argentini e al ruolo che giocano in questo disorientamento lo spagnolo locale e il lunfardo). Tuttavia il romanzo ci dice che quel recupero deve avvenire mosso dal caso che, come un lampo, ci fa sentire che la vita vale la pena e, in seguito, ci farà ascoltare i tuoni di questo risveglio.
Allo stesso tempo, alla fine del libro si arriva a una chiusa inaspettata perché il lettore, nel sapere che Cadogan è lo scrittore di El cantor de tango, lo vede come il costruttore dell’ultimo labirinto, quello che comprende tutti gli altri. A conti fatti, conclude Masotti, il lettore si trova davanti al paradosso che afferma che se scrivere serve a sconfiggere il labirinto, serve anche per ricrearne un altro".


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