lunedì 19 settembre 2011

Napoli barrio latino. Migrazioni latinoamericane a Napoli








“A volte, sai mi guardo nello specchio e digo: «Oh mio Dio! Ormai che sono?» Sono peruviana senz’altro, però adesso, forse sono sudamericana… pure con mio marito [italiano], lui sa che le mie abitudini ci sono sempre, però ormai pure ho adottato la vostra cultura. A volte mi sento pure un poco perduta per il fatto dell’identità, allora mi digo che sono peruviana però sono anche diventata un miscuglio.” (D., peruviana, int. 11)
"Migrare significa rottura con il passato, scontro con il presente, destabilizzazione, incertezza, ricostruzione del sé, ancoraggio ai miti e tradizioni del paese d’origine per poi ritrovare abitudini, gesti e valori, a distanza di tempo, fusi, decomposti e riformulati in versioni nuove, che degli originali conservano la base, altre volte solo il ricordo o il nome perché, invece, trasformati in qualcosa di nuovo, di ibrido, di fortemente rinnovato."

(Maria Rossi, Napoli barrio latino, p. 222)

Quello di Maria è uno dei libri a cui sono più legata in assoluto, e non solo fra quelli che ho pubblicato. Al di là della validissima e precisa analisi fatta, partendo dalle implicazioni emozionali che portano l'immigrato ad allontanarsi dal paese d'origine, spesso lasciando figli appena nati, fino ad arrivare al loro insediamento/scontro con la città d'arrivo, passando attraverso l'associazionismo e l'integrazione di chi in alcuni casi finisce per avvertire una molteplicità di appartenenze, importantissime e fondamentali sono le testimonianze orali dei latinoamericani che vivono tutto questo in prima persona, accompagnati quotidianamente da  quello che è il male dell'immigrato: la nostalgia. Non tutti possono conoscere e comprendere il dolore di coloro che sono costretti a scegliere fra il cuore e la convenienza, la necessità di sopravvivere, quando l'unica cosa che avrebbero voluto sarebbe stato vivere nel paese che li ha visti nascere.

"Napoli, principale porta d’ingresso dei flussi migratori meridionali provenienti prevalentemente da Africa, Asia ed Europa dell’Est, si caratterizza attualmente anche come spazio di insediamento di un “nuovo” gruppo migrante, quello proveniente dall’America Latina; da quel continente dove migliaia di meridionali, nell’epoca della grande migrazione, si sono diretti in cerca di fortuna.
Un’inversione dei flussi dunque, composti solo in minima parte dai cosiddetti ritornati ma piuttosto formati da immigrati molto eterogenei per provenienza, motivazioni e composizione.
A Napoli, come in qualunque altro spazio di immigrazione, si opera un rimodellarsi vicendevole, una negoziazione costante che oscilla tra stereotipi e somiglianze -vere o solo paventate-, tra riconoscimento e folklorizzazione alla ricerca di un’integrazione che chiami al dialogo entrambe le parti in questione.
Molti dei latinoamericani intervistati hanno definito l’Italia un sogno, il mito da conquistare, moderna America nella quale fare fortuna. Essi considerano il viaggio che intraprendono, spesso verso una meta conosciuta solo attraverso i racconti di amici e familiari, l’occasione di una vita, proprio come quella che i nostri emigrati rincorsero nelle terre americane. La mitizzazione del paese d’arrivo, l’Italia nel nostro caso, si scontra con una realtà ancora troppo disabituata all’alterità.
Da quando l’Italia si è “scoperta” paese d’immigrazione, anche nel nostro paese si è intrapreso un lungo cammino, tutto in salita, di analisi del rapporto tra “noi” e “loro”. La presenza di immigrati fa riflettere la società detta d’accoglienza su se stessa, scatena l’analisi dei discorsi, delle politiche, degli atteggiamenti che vi si producono, dell’identità che si rivendica.
Oggi, come allora, è ancora il dominante a dettare le regole del gioco. Le trasformazioni del mercato globale spingono milioni di latinoamericani ogni anno a lasciare il proprio paese e riversarsi, nella maggior parte dei casi, in quelli soggioganti. Sono migranti dall’identità complessa e ibrida, perché latinoamericana, resa problematica da un passato importante e incombente, quel peso coloniale che ancora soffrono e rivivono nelle società d’arrivo, stigmatizzati perché le loro facce mantengono i tratti somatici dei popoli colonizzati della storia, e perché le società in cui cercano di migliorare la loro condizione riservano loro posizioni subalterne sia a livello economico che sociale, ovvero lo status di moderni colonizzati.
Affinché il gruppo dei latinoamericani, ma in senso lato i gruppi immigrati di qualunque nazionalità e origine, possano svilupparsi pienamente in comunità, è necessaria, se non fondamentale, la piena partecipazione della società d’arrivo in un percorso che diventa dialogico e che attribuisce ai due interlocutori lo stesso valore."

Ed in questo l’Italia ha ancora strada da fare.

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